Occhio alle emoticon su WhatsApp: possono essere prove in un processo

I cuoricini all'amante possono valere l'addebito della separazione.

Mar 8, 2025 - 09:02
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Occhio alle emoticon su WhatsApp: possono essere prove in un processo

Un pollice in su può valere come assenso alla sottoscrizione di un contratto, e un cuoricino inviato all'amante può costare l'addebito della separazione. Anche le emoticon inviate su WhatsApp, insomma, possono essere impugnate in tribunale come prove. Una notizia che fa il paio con quella di fine febbraio per cui le chat di WhatsApp possono essere utilizzate come prove documentali da parte dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza, anche senza la necessità di un’intercettazione ufficiale, a patto che la loro autenticità non venga contestata dalla persona contro cui vengono utilizzati. In sostanza, se il destinatario dei messaggi non ne disconosce l’autenticità, questi potranno allora essere utilizzati come elementi probatori a tutti gli effetti.

EMOJI, SCREEN E VOCALI IN TRIBUNALE: MA DI MEZZO C'È LA PRIVACY

Con la sentenza n.1092/2022, il Tribunale di Foggia ha infatti affermato che le l'invio di "cuoricini" all'amante può essere considerato prova di infedeltà, portando all'addebito della separazione. Il Tribunale di Napoli, con la sentenza n.522 dell'8 febbraio 2025, ha stabilito che un'emoji del pollice in su inviata in chat può essere considerata un consenso valido per il rimborso di spese straordinarie per i figli. Verdetti che segnano un punto di svolta, riconoscendo alle emoticon un valore probatorio che va oltre la semplice comunicazione informale.

Non solo emoji: l Tribunale di Milano, con la sentenza n. 823/25, ha sancito che un messaggio, anche vocale, inviata su WhatsApp può provare l'accettazione di un piano di rientro da parte del creditore: non sono necessarie PEC o firme digitali. Infine, il Tribunale di Torre Annunziata ha stabilito che un messaggio vocale può revocare un decreto ingiuntivo.


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