Il paradosso dell'AI in Italia: PIL sale, ma scende l'occupazione
L'intelligenza artificiale produce un effetto paradossale. Anzi, due
L'intelligenza artificiale è il dipendente che tutti sognano: efficiente, preciso (quasi sempre), rapido e soprattutto devoto. Quando l'AI lavora, lo fa sul serio, e gli effetti si vedono sulla crescita aziendale prima e sul PIL poi. Lo conferma il Focus Censis Confcooperative pubblicato due giorni fa: "Intelligenza artificiale e persone: chi servirà chi?". Tra i dati del documento spicca quel +1,8% previsto entro il 2035, pari a 38 miliardi di euro in più, un risultato positivo strettamente collegato all'impiego dell'AI. Ma a questo corrisponde una cifra col meno altrettanto significativa: -6 milioni di lavoratori, che rischiano di essere semplicemente soppiantati da sistemi automatici. E non è tutto, perché altri 9 milioni potrebbero vedere ridotte le loro mansioni (e lo stipendio) a causa del dilagare dell'AI.
Di seguito la "top ten" delle professioni a rischio:
In altri tempi, una crescita del PIL sarebbe stata celebrata come l'effetto di una crescita dell'occupazione, utile a stimolare consumi e investimenti. Ma nel 2025, il "lavoro" lo fa tutto l'AI (letteralmente), e sembra che obiettivi economici soddisfacenti possano essere raggiunti anche facendo a meno del capitale umano. L'altro paradosso è deducibile dalla tabella. In pratica, il grado di esposizione alla sostituzione o alla riduzione delle mansioni aumenta all'aumentare del livello di istruzione. Non importa quanto una professione sia "intellettuale", se poi è facilmente automatizzabile (si pensi ai contabili, ai tecnici bancari…). Al contrario, si salvano manager e operatori sanitari, rispetto ai quali il rapporto evidenzia, almeno ad oggi, un rischio relativamente basso.