Retromarcia – V mensile: Portiamoci a casa i videogiochi tosti
“Sugoi geemu wo tsurete kaerou.” In lingua giapponese, l’esatto titolo di questo nuovo stralcio di frivolezza era uno dei primissimi e più iconici slogan di un inedito sistema videoludico che debuttò all’alba degli Novanta, proponendosi esplicitamente come “il rivoluzionario” del suo intero settore. Per di più tale rivoluzione era intesa sia per le sale giochi […] L'articolo Retromarcia – V mensile: Portiamoci a casa i videogiochi tosti proviene da Vgmag.it.


“Sugoi geemu wo tsurete kaerou.” In lingua giapponese, l’esatto titolo di questo nuovo stralcio di frivolezza era uno dei primissimi e più iconici slogan di un inedito sistema videoludico che debuttò all’alba degli Novanta, proponendosi esplicitamente come “il rivoluzionario” del suo intero settore. Per di più tale rivoluzione era intesa sia per le sale giochi che nelle case private degli appassionati più estremi, si trattava insomma di un prodotto tutto nuovo pensato e lanciato (proprio lo stesso giorno!) in entrambi i segmenti del mercato videoludico, tradizionalmente affini ma da sempre ben divisi e distinti. Persino il nome del caso era a dir poco altisonante: era la nascita del celeberrimo Neo•Geo, ambiziosa piattaforma proposta come una “nuova terra” (anche se in realtà la fonte terminologica era la corrente artistica astratta e concettuale chiamata “neo-geometry”), un progetto dell’aggressiva ditta SNK concepito dal vulcanico Nishiyama Takashi, appena trasferito dalla concorrente Capcom. Non per nulla, fin dalle primissima campagna pubblicitaria che ne anticipava l’uscita, la nuova piattaforma venne subito etichettata come dedicata a “videogiochi supercorazzati”, con quell’astrusa ed esagerata definizione tanto cara allo stesso Nishiyama sin dai tempi del suo Spartan-X.
Il Neo•Geo nasceva infatti come una “console arcade”, da subito presentata in duplice veste domestica e a gettone: la tecnologia e la qualità dei titoli proposti erano quelle delle allora strabilianti schede arcade, ossia di un livello ai tempi davvero impensabile per le tipiche conversioni casalinghe dei successi delle sale giochi. Naturalmente, lo stesso era vero anche per i prezzi del nuovo prodotto, dunque chi mai avrebbe potuto permetterseli, per il salotto di casa? Il pubblico di riferimento era quello dei frequentatori delle sale giochi, ossia ragazzacci, teppistelli o perdigiorno, non esattamente tra i più facoltosi figli di papà! Ed ecco qui un altro tassello della rivoluzione: il Neo•Geo fu lanciato sul mercato come una console videoludica così lussuosa da essere proposta non per la vendita al consumo, ma per il noleggio professionale. Difatti lo si trovava disponibile nei neonati e già dilaganti videonoleggi, ma soprattutto nella sale giochi stesse, dove gli identici titoli della console domestica si potevano giocare sui cabinati della sua controparte arcade, battezzata MVS, dall’acronimo di “Multi Video System”, perché ogni macchina da sala poteva ospitare fino a ben sei giochi diversi, liberamente selezionabili dal giocatore e installati dal gestore con la stessa facilità con cui si sarebbero alternate le cartucce di una normale console da casa.
La genialità di Nishiyama fu dunque anch’essa bifida: da un lato, il costosissimo Neo•Geo portava nelle case degli irriducibili i “giochi tosti” dell’arcade gaming, senza alcun compromesso di nessun genere. Dall’altro, l’MVS permetteva la collocazione degli stessi videogiochi in ambienti pubblici ben più angusti e generici delle sale giochi, fino ai minimarket nelle periferie urbane, o nei paesini di provincia, così da allargare la nicchia tecnologica. Inoltre, quello che fu denominato “Neo•Geo World” – forse oggi si parlerebbe di un “ecosistema” – era suggellato da altre innovazioni tecnologiche ed estetiche, come l’avveniristica Memory Card, che permetteva di scambiare dati e salvataggi di gioco da casa a sala giochi e viceversa, o come il design dei materiali della console, che più che un giocattolo sembrava una componente elettronica high-end di livello professionale, proprio come le sue specifiche e prestazioni. Per il mercato di riferimento fu in effetti proprio una piccola grande rivoluzione, mentre per i membri della geesen-zoku si trattava dell’araba fenice, o del Santo Graal: la concretizzazione del vero “arcade at home”. Tuttavia la visione di Nishiyama non si limitava al solo lato hardware, anzi in realtà il suo focus era proprio nel software. Ma in che modo? Ebbene la SNK ai tempi non era esattamente un colosso del settore, però aveva sin dai suoi esordi ottantini mostrato un’inclinazione per delle creazioni videoludiche fortemente orientate (sbilanciate?) verso gli elementi estetici, stilistici e narrativi.
I maligni direbbero che si trattava di una scelta obbligata, perché quanto a solidità di gioco i suoi titoli sarebbero stati sempre e comunque carenti, ma sta di fatto che con ammiccamenti subculturali vari, dal design fumettoso al taglio radicale dei suoi prodotti, la SNK era un’azienda che strizzava l’occhio ai maniaci. Altrettanto obiettivamente, potremmo dire che realizzando dei videogiochi foss’anco debolucci sul fronte del gameplay, ma poderosi nelle caratterizzazioni di storia, atmosfere e personaggi – quali la saga di Ikari, Athena, o il suo seguito Psycho Soldier – la SNK aveva in pratica anticipato una tendenza del mercato nipponico che sarebbe poi esplosa negli Anni ’90 con la strategia detta del “mediamix”, ossia la convergenza di vari settori dell’intrattenimento (manga, anime, videogame, film) intorno a uno stesso titolo. Chiaramente, proprio Nishiyama Takashi – con la sua aspirazione “cinematografica” dei videogiochi d’azione – ne era stato altresì un precursore e ne sarebbe stato un grande interprete. Fu forse proprio una tale comunanza di intenti, retrospettivamente si direbbe “avanguardia”, a portare il giovane sviluppatore dalla Capcom alla SNK, ma di certo la rivoluzione del Neo•Geo avrebbe segnato l’intero mercato videoludico giapponese, e su più livelli: i videogiochi “tosti” e “supercorazzati” sfoggiavano un’impronta stilistica così marcata e riconoscibile da definire un’immagine identitaria, andando a così generare un intero “universo” di prodotti connessi e correlati, dalle riviste, ai locali da gioco fino agli eventi live. Tutto gravitava intorno ai marchi SNK, Neo•Geo e soprattutto ai loro straordinari personaggi, caratterizzati a livello delle opere narrative più trendy e capaci di attrarre orde di nuovi estimatori sempre più fanatici.
E i fanatici, si sa, sono sempre pronti a far pazzie per raggiungere gli oggetti del loro desiderio. Fu così che ben presto gli entusiasti del Neo•Geo giunsero ad ambire l’acquisto privato del sistema domestico destinato al noleggio, pur con i suoi esorbitanti costi professionali: ad appena pochi mesi dal lancio, la SNK fu quindi indotta a introdurre anche la non prevista opzione di vendita al consumo della sua console domestica. Entro la fine dell’anno, fu chiaro che il tentativo di creare il nuovo mercato del noleggio dei videogame era fallito, sicché nel giro di altri sei mesi o poco più il Neo•Geo fu ufficialmente rilanciato per la sola vendita diretta, con prezzi ritoccati verso il basso (ma ancora stratosferici). Eppure, l’immagine del “Neo•Geo World” non ne fu minimamente intaccata nella sua lussuosa esclusività, anzi i suoi estimatori continuarono a radicalizzarsi insieme alla crescente qualità dei giochi sviluppati per la piattaforma, come andremo a tratteggiare a partire dal nostro prossimo appuntamento su queste pagine.
Articolo di Gualtiero Cannarsi Leggilo gratis in versione impaginata e sfogliabile sul numero 9 di V – il mensile di critica videoludica
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