Uno scudo che fa acqua
Un ennesimo errore, che questa volta ha visto un legale sito di notizie bloccato per una partita, evidenzia i limiti di uno strumento inadeguato The post Uno scudo che fa acqua first appeared on Hackerjournal.it.

La cronaca recente ha messo in evidenza un incidente significativo riguardante lo scudo anti-pirateria italiano, noto come Piracy Shield, quando il sito di tecnologia DDay è stato erroneamente bloccato. Questo evento non solo solleva domande sulla funzionalità del sistema ma riapre anche un dibattito (in realtà mai chiuso) sui suoi limiti, i suoi scopi e sulla sua efficacia.
Innovativo o inadeguato?
Il Piracy Shield è stato promosso come una risposta innovativa alla pirateria online, in particolare per proteggere le trasmissioni di eventi sportivi, come le partite di calcio della Serie A. Sviluppato e gestito dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM), il sistema permette ai detentori dei diritti di segnalare contenuti pirata, che poi vengono bloccati entro 30 minuti dall’avvio della segnalazione.
Neanche Google è al sicuro
Tuttavia, il blocco di DDay ha messo in luce un problema critico: l’overblocking. Il sito, del tutto legittimo, è stato reso
inaccessibile perché ha usato lo stesso indirizzo IP di siti pirata, per una banale questione di load balancing del CDN
(leggi paragrafo in basso “Load balancing: un meccaniscmo omnipresente“). Questo errore evidenzia una grave lacuna nel sistema, che non riesce a distinguere accuratamente tra contenuti legali e illegali. Non si tratta, purtroppo, del primo errore. Il 19 ottobre 2024, per esempio, il dominio drive.usercontent.google.com, utilizzato per scaricare file da Google Drive, è stato erroneamente bloccato a livello DNS. Questo dominio è essenziale per il funzionamento del servizio di archiviazione e condivisione file di Google. L’errore specifico in questo caso è stato causato da una segnalazione errata che ha incluso un dominio di Google Drive nella lista dei siti da bloccare. Il disguido potrebbe essere avvenuto perché qualcuno ha condiviso link pirata su Google Drive, e il sistema ha automaticamente bloccato l’intero dominio associato senza verificare accuratamente la natura del contenuto. Il blocco ha causato problemi di accesso per diverse ore, influenzando migliaia di utenti, inclusi privati, aziende, scuole e università. Anche altri servizi del colosso, come YouTube, hanno riscontrato problemi temporanei correlati a questo incidente.
Tanti problemi sin dall’inizio
Il Piracy Shield, nato, come dicevamo, con l’intento di contrastare lo streaming illegale di eventi sportivi e contenuti protetti da copyright, è stato introdotto con la legge 93 del 14 luglio 2023. Già dal primo mese di operatività, si sono
verificati casi di overblocking a spese di siti legali. Nel febbraio 2024, poco dopo l’attivazione completa del sistema, un indirizzo IP di Cloudflare, che ospita milioni di siti, è stato bloccato, causando l’inaccessibilità di molti siti legittimi. Diversi esperti e associazioni di tecnologia hanno criticato il sistema per la sua progettazione amatoriale e la mancanza di considerazione per come funziona Internet oggi (load balancing incluso), oltre che per una mancanza
di trasparenza riguardo a chi esegue le segnalazioni, per la loro gestione e per i costi elevati. Il suo codice
sorgente e la documentazione interna sono stati persino pubblicati su GitHub in un leak di protesta che accusava il sistema di essere una forma di censura. Nonostante sia stato emesso un avviso DMCA per rimuovere il materiale, il codice è già in circolazione su piattaforme come Telegram e reti peer-to-peer, creando ovvi problemi per AGCOM.

L’incidente con DDAY sembra evidenziare la scarsa considerazione del sistema per come funziona Internet oggi, con indirizzi IP dinamici e CDN (Content Delivery Network) che distribuiscono contenuti attraverso numerosi indirizzi IP. Chi protegge i siti onesti?
Ancora più limiti: ne vale la pena?
Le modifiche del 2024, approvate tramite il decreto legge Omnibus lo scorso ottobre, hanno portato ad altre critiche. L’obbligo di blocco non si limita più agli ISP italiani ma si estende anche ai fornitori di servizi VPN e di DNS pubblici globali. Questa estensione ha sollevato preoccupazioni per la privacy e la libertà di Internet, poiché impone a operatori internazionali di conformarsi alle leggi italiane. Ora, inoltre, non è più necessario che un sito sia “univocamente destinato ad attività illecite” per essere bloccato, ma basta che le attività illecite siano “prevalenti”, una distinzione che potrebbe portare a un aumento dei casi di overblocking. Le modifiche hanno ampliato i
poteri di AGCOM e imposto nuovi obblighi ai fornitori di servizi, come la segnalazione tempestiva di attività sospette alle autorità competenti. Questo ha aumentato la complessità operativa per gli ISP e altri operatori di rete. Le nuove misure hanno quindi intensificato il dibattito sul bilanciamento tra la protezione del diritto d’autore e la libertà online. Ci sono preoccupazioni che tali regolamenti possano portare a una forma di censura, influenzando
negativamente l’accesso a contenuti e servizi legittimi. Le modifiche hanno, infine, incrementato i costi operativi per gli ISP e altri operatori e molti mettono in discussione l’efficacia reale di queste misure nel ridurre la pirateria, considerando che i siti pirata possono facilmente cambiare indirizzi IP o utilizzare tecnologie per aggirare le restrizioni.
LOAD BALANCING: UN MECCANISMO ONNIPRESENTE
I provider di Content Delivery Network (CDN) utilizzano il load balancing per migliorare l’efficienza, l’affidabilità e le prestazioni nella distribuzione dei contenuti agli utenti finali. Una CDN opera distribuendo copie di contenuti statici (come immagini, video, file CSS/JavaScript e pagine HTML) su una rete globale di server posizionati strategicamente
in diverse località. Il load balancing è una parte fondamentale di questo sistema, poiché consente di gestire il
flusso di richieste degli utenti in modo intelligente. Quando accedete a un sito che utilizza una CDN, infatti, determina quale server nella rete è più adatto a rispondere alla vostra richiesta. Questo viene fatto considerando
vari fattori, come la vostra posizione geografica, la latenza di rete, il carico attuale sui server e persino eventuali
guasti. Per esempio, se un utente europeo visita un sito ospitato su una CDN, il sistema di bilanciamento del carico lo reindirizzerà al server più vicino in Europa, riducendo la latenza e migliorando la velocità di caricamento. I provider CDN utilizzano il load balancing anche per garantire una distribuzione uniforme del traffico. Durante eventi ad alto accesso, come il lancio di un prodotto o un grande evento mediatico, il sistema distribuisce le richieste tra i vari server per evitare che uno solo di essi venga sovraccaricato, garantendo così che il servizio rimanga stabile. Inoltre, se un server in una specifica area geografica non è disponibile, il load balancing ridirige automaticamente le richieste verso un altro nodo funzionante, mantenendo l’alta disponibilità del servizio. In sintesi, il load balancing permette ai provider CDN di offrire un’esperienza utente ottimale indipendentemente dalla posizione o dalle condizioni di traffico, assicurando velocità, affidabilità e scalabilità nella distribuzione dei contenuti. L’esperienza di DDAY sembra
suggerire che, se un segnalatore di Piracy Shield inserisce in blacklist uno degli IP del provider CDN utilizzato
da un sito innocente che vi viene indirizzato per il load balancing, questo rischia l’interruzione del proprio servizio
con i danni che ne conseguono. La lotta alla pirateria è sicuramente importante, ma tutelare chi lavora onestamente su Internet dovrebbe esserlo altrettanto…
Leggi anche: “Maxi operazione contro lo streaming online“The post Uno scudo che fa acqua first appeared on Hackerjournal.it.