Attenzione, le unità SSD possono perdere dati dopo 2 anni se non alimentate

Gli SSD, se lasciati disalimentati per lunghi periodi, possono perdere dati a causa del degrado delle celle NAND, soprattutto in presenza di usura elevata.

Apr 17, 2025 - 10:29
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Attenzione, le unità SSD possono perdere dati dopo 2 anni se non alimentate

Le unità SSD non garantiscono una conservazione dei dati a lungo termine se lasciati scollegati dalla corrente per lunghi periodi. A differenza degli hard disk, che memorizzano le informazioni magneticamente e tendono a mantenere l’integrità dei dati anche per diversi anni se non alimentati (a patto che le condizioni ambientali di stoccaggio siano favorevoli), gli SSD utilizzano celle NAND Flash che possono degradarsi nel tempo fino a compromettere i dati memorizzati.

La durata dei dati salvati in un’unità a stato solido dipende da molti fattori: tipo di NAND (SLC, MLC, TLC, QLC), qualità del controller, algoritmi di gestione dell’usura e, soprattutto, dal volume di dati – espresso in Terabyte – già scritto sull’unità (solitamente espresso in TBW, Terabytes Written).

Le unità SSD hanno bisogno di alimentazione: dati che si volatilizzano dopo 2 anni

In passato abbiamo spiegato perché la durabilità degli SSD sia un parametro di cui oggi si possa ragionevolmente non preoccuparsi. Ciò non toglie che non si debba applicare la regola del backup 3-2-1, tuttavia le unità a stato solido risultano complessivamente molto più affidabili che in passato. Se mantenuti alimentati, le principali minacce per la salute degli SSD restano il tempo che passa e le temperature di esercizio. Occasionalmente, con alcuni modelli di unità SSD si sono verificati problemi che hanno portato a perdite di dati dopo un improvviso blackout elettrico.

Come recentemente dimostrato con una “prova sul campo” durata più di 2 anni, tuttavia, conservare unità SSD senza fornire mai alimentazione per un lungo periodo di tempo può portare alla corruzione dei file precedentemente memorizzati.

Il test svolto su quattro SSD SATA da 128 GB, tutti basati su memorie TLC con una durabilità dichiarata dal produttore pari a 60 TBW, ha evidenziato risultati inequivocabili. Due SSD erano “freschi”, utilizzati per scrivere appena 100 GB di dati random; gli altri due erano “consumati”, con circa 280 TB scritti, ben oltre la soglia prevista dal costruttore.

I risultati dell’esperimento a un anno avevano tranquillizzato: nessuna perdita o degrado evidente. Tuttavia, dopo due anni senza alimentazione, sono emersi segnali preoccupanti.

SSD “freschi”: integrità mantenuta, ma primi segnali di stress

Al primo controllo, gli SSD nuovi hanno restituito esiti positivi: i dati erano leggibili, i checksum corrispondevano e le prestazioni apparivano in linea con le aspettative. Tuttavia, una verifica più approfondita ha rivelato che uno degli SSD mostrava un valore elevato nella metrica Hardware ECC Recovered, con oltre 400 correzioni eseguite dal sistema di Error Correction Code (ECC). Questo significa che l’unità è intervenuta centinaia di volte per correggere errori latenti nei dati.

È un campanello d’allarme: sebbene nessun dato sia risultato corrotto, il fatto che l’ECC debba lavorare così tanto indica un inizio di degrado, potenzialmente causato dal lungo periodo senza alimentazione.

SSD “usurati”: errori irreversibili e degrado massiccio

Gli SSD sottoposti a forte usura hanno manifestato i problemi più gravi. Durante il controllo dei file, attraverso la verifica dei corrispondenti hash, i ricercatori hanno rilevato dati danneggiati.

Impressionante le differenze nelle tempistiche di controllo: da 10 minuti nel test a un anno a oltre 42 minuti nel test attuale dopo un biennio. Le analisi svolte avvalendosi di software come Hard Disk Sentinel e Crystal Disk Info hanno mostrato peggioramenti evidenti: settori danneggiati, performance irregolare e instabile, settori non correggibili aumentati da 0 a 12, valore Hardware ECC Recovered passato da 11.745 a 201.273.

Sono tutti chiari segnali che il degrado fisico delle celle NAND sta compromettendo la leggibilità dei dati, nonostante i meccanismi di correzione.

Perché avvengono le perdite di dati su SSD?

Le celle NAND, sulle quali le unità SSD basano il loro funzionamento, memorizzano i dati intrappolando elettroni in un componente chiamato floating gate (o nel caso delle NAND più recenti, in una charge trap). Il numero di elettroni presenti determina il livello di carica, che a sua volta rappresenta un valore binario (0 o 1, oppure più stati nei modelli MLC, TLC, QLC). Questa carica non è permanente: con il tempo può dissiparsi anche se non ci sono letture o scritture in corso.

Le memorie di tipo SLC (Single-Level Cell) mantengono la carica più a lungo (anni), mentre MLC, TLC e QLC hanno una retention inferiore perché i livelli di carica sono più vicini tra loro e più sensibili al degrado.

Gli algoritmi di correzione degli errori (ECC) e di refresh delle celle richiedono un’alimentazione attiva. Quando l’unità è spenta, questi meccanismi non possono agire, lasciando i dati esposti ad errori.

Implicazioni pratiche e consigli

Sebbene l’esperimento documentato su YouTube si basi su un campione statistico limitato, rappresenta un prezioso caso studio per chiunque utilizzi SSD per backup a lungo termine, archivi offline o conservazione di dati critici.

In generale, per proteggere i propri dati è essenziale:

  • Non affidarsi alle unità SSD per i backup a freddo: è bene preferire gli hard disk per le attività di archiviazione a lungo termine.
  • Ricollegare periodicamente gli SSD lasciati disalimentati: alimentare l’unità ogni 3–6 mesi può aiutare a mantenere i dati integri.
  • Monitorare i parametri SMART: valori anomali di ECC, settori non correggibili e cali di prestazioni sono segnali da non ignorare.
  • Utilizzare strumenti di hashing per verificare l’integrità dei file archiviati.
  • Ridurre l’usura scrivendo meno su SSD destinati alle operazioni di archiviazione statica.

Credit immagine in apertura: HTWingNut