Bitcoin: prezzo di BTC tornato sopra 80.000 USD
Ma non è detto che sia una vera ripartenza, anche perchè i problemi non sono ancora affatto stati risolti.


Ieri, il prezzo di Bitcoin (BTC) è tornato sopra gli 80.000 USD.
Non bisogna però lasciarsi prendere da facili entusiasmi, perché potrebbe anche trattarsi di una falsa ripartenza.
Infatti tecnicamente si è trattato solo di un rimbalzo temporaneo, e non di un’inversione di tendenza.
Lo scenario attuale del prezzo di Bitcoin (BTC): riuscirà a tenere gli 80.000 USD?
A partire dal 7 marzo il prezzo di BTC è sceso sotto i 90.000 USD e da allora non è più tornato sopra quella soglia.
Il problema principale era dovuto alla politica commerciale estera degli USA dell’amministrazione Trump, in particolare a partire dall’annuncio del 2 aprile dei dazi “reciproci” (ma che invece reciproci non sono).
Sebbene quel giorno il prezzo di Bitcoin si limitò a scendere da 86.000$ a 82.000$, nei giorni successivi c’è stata una vera e propria escalation della guerra commerciale degli USA, soprattutto nei confronti della Cina.
Non appena si è capito che tra i due Paesi si stava verificando un’escalation della guerra commerciale, i mercati finanziari sono crollati, così come il prezzo di BTC.
E così nel giro di pochi giorni Bitcoin è sceso anche sotto i 75.000 USD.
Va però sottolineato come non appena sceso sotto questa soglia, nel giro di poche ore era già tornato sopra, tanto che alla fine ieri era assestato attorno ai 77.000 USD.
Il rimbalzo dopo la sospensione dei dazi di Trump
Ieri, il presidente Trump ha annunciato pubblicamente di aver sospeso i dazi “reciproci” per 90 giorni.
I mercati finanziari nel complesso hanno reagito immediatamente con un forte rimbalzo, tanto che il prezzo di BTC di colpo è salito sopra gli 83.000$, per poi riassestarsi a 82.000$.
Molto probabilmente non è un caso che questa sia anche la cifra toccata il 3 aprile, dato che ieri non sono stati ritirati i dazi ma è stata solamente sgonfiata l’escalation.
Quel giorno il prezzo di BTC era tornato velocemente sopra gli 81.000$, e prima che potesse tornare a 82.000$ uscì la smentita che lo fece scendere nuovamente sotto gli 80.000$.
Pertanto quello di ieri era una sorta di rimbalzo “annunciato”, anche se solo sottotraccia, anche perché era oggettivamente impossibile che l’escalation potesse continuare a montare molto.
Si era vicini al punto di rottura, che è arrivato ieri, quando i mercati finanziari hanno iniziato a far salire i rendimenti del debito americano a 10 anni.
L’inversione di tendenza
Come si comprende bene da tutto ciò, non si tratta però affatto di un’inversione di tendenza, perché la guerra commerciale di Trump è ancora in corso.
Si tratta “solamente” di una de-escalation momentanea, che però potrebbe essere destinata a durare, qualora le parti iniziassero a dialogare.
Va detto che l’Unione Europea, ovvero il secondo maggior partner commerciale degli USA dopo la Cina, fin da subito si era detta pronta a negoziare, e che in realtà l’escalation riguardava solo USA e Cina.
Ora anche la Cina si è detta pronta a negoziare, e sembra difficile che gli USA possano permettersi negoziati lunghi e poco produttivi.
Ciò significa che, sebbene l’attuale momento non sia ancora caratterizzato da un’inversione di tendenza, questa potrebbe anche arrivare nelle prossime settimane o mesi.
Da notare che i mercati continuano a paventare il rischio che gli USA nel 2025 vadano in recessione, proprio a causa delle politiche di Trump, e l’anno prossimo ci saranno negli USA le elezioni di mid-term che Trump non può permettersi di perdere.
Le previsioni
I momenti chiave, sul medio periodo, sembrano essere due.
Il primo, che potrebbe già verificarsi sul medio-breve termine, è la fine di aprile, quando in teoria potrebbero arrivare i risultati dei primi negoziati degli USA, magari con la UE.
In teoria infatti potrebbe non essere difficile per Trump giungere ad un accordo commerciale con l’Unione Europea, anche perché così si toglierebbe dai piedi una questione scomoda ma secondaria, per concentrarsi su quella primaria, ovvero la Cina.
Invece la trattativa con la Cina potrebbe essere più complicata, perché si tratta di una controparte molto grossa e potente, e soprattutto non disposta a piegarsi.
Infatti il secondo momento chiave potrebbe essere giugno, ovvero il mese in cui l’attuale fase potrebbe concludersi del tutto.
È estremamente difficile allo stato attuale prevedere cosa accadrà dopo giugno, anche perché nessuno ha ancora un’idea precisa di come potrebbero andare a finire tali negoziati.
Tuttavia si sa benissimo che Trump non può permettersi che le conseguenze negative della sua politica si spingano fino al 2026, perché se dovesse perdere le elezioni di mid-term potrebbe anche rischiare l’impeachment.