EDITORIALE | Mr. President goes crypto: la nuova crociata digitale di Donald Trump tra stablecoin, meme coin e geopolitica monetaria

Peccato che Trump non stia solo lanciando una stablecoin. Sta mettendo in campo una strategia sofisticata e multidimensionale, che intreccia fintech, soft power e marketing identitario.

Apr 10, 2025 - 12:03
 0
EDITORIALE | Mr. President goes crypto: la nuova crociata digitale di Donald Trump tra stablecoin, meme coin e geopolitica monetaria

Durante il suo primo mandato, Donald Trump è stato fortemente oscillante sul fronte cripto: un giorno lasciava intendere aperture, apparentemente incuriosito dal “fascino dell’innovazione digitale”, e il giorno dopo tuonava contro Bitcoin, definendolo “una truffa contro il dollaro” — già accompagnato, nel precedente giro di rollercoaster, dal fedele consigliere Elon Musk.

Inizialmente la Blockchain con le sue criptovalute era, oltreoceano, una tecnologia che non si prestava facilmente a cambiamenti riformisti e mostrava tendenze ideologiche libertarie di destra. Successivamente il vento cambiò.

Ma oggi, al nuovo giro di governo, le esitazioni sembrano alle spalle. Il presidente americano ha scelto una direzione netta — e per certi versi spiazzante: porsi addirittura come protagonista diretto del mercato cripto.

Peccato che Trump non stia solo lanciando una stablecoin. Sta mettendo in campo una strategia sofisticata e multidimensionale, che intreccia fintech, soft power e marketing identitario.

Trump ha irrotto nell’arena con la sua stablecoin USD1, emessa da World Liberty Financial, un’azienda saldamente in mano alla famiglia, con Donald Jr. ed Eric in capo a presidiare i ruoli strategici. Una ben studiata mossa strategica camuffata da operazione fintech: un tentativo deliberato di riscrivere le regole del gioco monetario globale, piantando il vessillo Trump nel cuore dell’ecosistema cripto-finanziario. Con BitGo che fornirebbe servizi di custodia per le riserve e USD1 che sarà inizialmente disponibile su Ethereum e BNB Chain, con piani di espansione ad altre reti. ​ 

Trump sta creando una strategia congiunta, in cui i dazi e la stablecoin si rafforzano a vicenda. I dazi creano incertezze economiche globali, e in risposta, la stablecoin USD-1 potrebbe emergere come una nuova opzione per “rinforzare” il dollaro a livello locale e globale, dando maggiore libertà economica agli americani e ai suoi sostenitori. La manovra di Trump approfitta delle tensioni economiche globali provocate dai dazi per spingere molti a cercare valute più sicure e stabili, una stablecoin legata al dollaro potrebbe essere vista come una soluzione alternativa alla turbolenza finanziaria. Ma potrebbe essere anche una risposta alla de-dollarizzazione dei BRICS con un’espansione della finanza decentralizzata, in cui Trump si posiziona come volto crypto-populista dell’America 3.0.

Ambiguità presidenziale: la parabola delle criptovalute sotto l’amministrazione Trump

Tra il 2017 e il 2021, il rapporto tra la Casa Bianca e le criptovalute è stato quantomeno ambiguo. Inizialmente, con Christopher Giancarlo alla presidenza della CFTC (Commodity Futures Trading Commission) — nominato da Donald Trump e soprannominato “Crypto Dad” dopo un’audizione al Congresso nel febbraio 2018, in cui difese l’innovazione portata dalla Blockchain e chiese un approccio equilibrato verso le criptovalute — l’agenzia si mostrò più aperta nei confronti di Bitcoin e dei derivati. Proprio durante il mandato di Trump, nel dicembre 2017, il CME e il CBOE lanciarono i primi futures su Bitcoin regolamentati.

Più tardi, però, nel 2019, Trump dichiarò pubblicamente in un famoso tweet: “Non sono un fan del Bitcoin e delle altre criptovalute, che non sono denaro e il cui valore è altamente volatile e basato sul nulla. Gli asset cripto possono facilitare comportamenti illeciti…”

Trump nominò Jay Clayton alla presidenza della SEC, e l’agenzia adottò una linea dura contro molte ICO (Initial Coin Offering). Sotto la sua guida furono bloccati progetti come Telegram (TON), e si aprì la strada a una delle cause più note: quella contro Ripple (XRP), formalizzata proprio a fine mandato, nel dicembre 2020. Venne innescata una vera e propria crypto crackdown.

All’epoca, Trump era fortemente contrario all’idea di una stablecoin privata come Libra di Facebook, che l’amministrazione ostacolò attivamente, spingendo Mark Zuckerberg a spostarsi a Ginevra.

Jay Clayton rimase in carica fino alla fine del mandato, lasciando nel dicembre 2020 come previsto. Le vere fratture emersero più per divergenze interne, come quelle con la commissaria Hester Peirce, soprannominata invece “Crypto Mom”. 

Questione di Data Center: tutti gli interessi della Famiglia Trump

Torniamo al presente. Il 7 gennaio 2025, il presidente eletto Donald Trump ha annunciato un investimento di 20 miliardi di dollari da parte del miliardario di Dubai Hussain Sajwani, presidente di DAMAC Properties, per la costruzione di nuovi data center negli Stati Uniti. La prima fase del progetto prevede la realizzazione di data center in Texas, Arizona, Oklahoma, Louisiana, Ohio, Illinois, Michigan e Indiana.

A Febbraio 2025 Eric Trump e Donald Trump Jr. hanno collaborato con Dominari Holdings per lanciare American Data Centers Inc., focalizzata sull’infrastruttura AI, cloud computing e mining di criptovalute negli Stati Uniti. Dominari detiene una partecipazione del 32% nella società e i Trump che hanno investito nella società sono nel consiglio di amministrazione. ADC mira a costruire un portafoglio di data center all’avanguardia ed efficienti dal punto di vista energetico, situati strategicamente in mercati chiave negli Stati Uniti. ​ 

Alla fine di marzo 2025, Eric Trump e Donald Trump Jr. hanno lavorato di concerto con la società canadese di mining di criptovalute Hut 8 per lanciare American Bitcoin, una joint venture focalizzata sul mining su larga scala di Bitcoin e sulla creazione di una riserva strategica di questa criptovaluta. In questa partnership, Hut 8 detiene una quota dell’80%, mentre American Data Centers, controllata dalla famiglia Trump, possiede il restante 20%. Eric Trump ricopre il ruolo di Chief Strategy Officer all’interno della nuova società.

Alla data odierna, sono stati minati già circa 19,6 milioni di Bitcoin, lasciando solo 1,4 milioni da estrarre. Questo significa che siamo vicini a un punto cruciale nella storia della criptovaluta: la fase finale del suo ciclo di creazione. Con il prossimo halving previsto per il 2028, la ricompensa per i miner si ridurrà ulteriormente e questo evento porterà a una contrazione progressiva dell’offerta e, sebbene possa aumentare il valore del Bitcoin a causa della scarsità, allo stesso tempo ridurrà i profitti immediati per chi è coinvolto nel mining.

Dunque, il mining diventa sempre più una sfida in termini di costi e competitività, e a livello strategico, potrebbe trattarsi di una mossa – quella dei Trump – mirata a consolidare un’influenza significativa nel mondo delle criptovalute, piuttosto che una semplice scommessa sui guadagni immediati, esattamente come per le meme coin.

La geopolitica delle stablecoin: USD1 vs lo yuan digitale e i BRICS

Nel pieno fermento tecnologico che ha accompagnato l’ascesa dello yuan digitale, guarda caso Trump ha risposto con una narrazione tutta americana: una stablecoin ancorata al dollaro, sì, ma emessa da un’entità privata, non dallo Stato. Una scelta che apparentemente ha rotto con le ortodossie dei CBDC e si è posizionata in netta controtendenza rispetto alla centralizzazione cinese. È evidente: USD1 non è solo una moneta, è una provocazione alla Federal Reserve, un gesto che parla alla pancia di un certo elettorato. 

Come funziona USD1? 

Nel concreto, USD1 segue lo schema classico delle stablecoin: ogni token è collateralizzato da un dollaro reale in riserva. Ma dietro questa semplicità si nasconde una macchina di generazione di valore.

Numeri alla mano: con un’emissione ipotetica di 10 miliardi di USD1, e con i fondi investiti in titoli a breve termine al 4%, si parlerebbe di 400 milioni di dollari l’anno solo in interessi. A cui si sommano commissioni, partnership strategiche con exchange, e fee operative. Senz’altro è un modello che fonde interessi personali e pragmatismo: la moneta come messaggio, il business come leva politica.

Trump, architetto di consenso grazie alle meme coin

Con USD1, Trump intende costruire una piattaforma che parla a più pubblici: agli investitori libertari, allergici al controllo statale; ai giovani tech-savvy, delusi dalla finanza tradizionale; a chi sogna un’America “bankless”, libera dalle burocrazie globaliste. Accanto alla stablecoin, nel sottobosco cripto trumpiano, sono fiorite poi le meme coin che portano il suo volto e quello della sua famiglia, i suoi slogan, il suo stile. Queste monete, spesso ironiche o parodistiche, funzionano in realtà come vettori virali: avvicinano nuovi utenti, accendono i riflettori mediatici, rinforzano l’effetto-community. Le meme coin rappresentano ovvia satira digitale al servizio del brand. Sono le “GIF animate” della Blockchain, strumenti di comunicazione, polarizzazione e penetrazione culturale. Non hanno bisogno di valore economico per generare impatto. Hanno squisitamente un valore narrativo. E in politica, spesso, è tutto ciò che serve.

Una strategia post-presidenziale a lungo termine

USD1 è palesemente il tassello di una strategia che guarda al domani: può diventare una legacy finanziaria per la famiglia Trump; una fonte autonoma di influenza economica; un ponte verso nuove forme di potere post-istituzionale. Possedere una moneta significa detenere voce, visibilità, e possibilità d’azione. Non è più solo questione di voto. È questione di wallet. 

Minacce e conseguenze dell’introduzione di USD1

La minaccia più avvertita è quella all’equilibrio monetario globale che vedrebbe la nascita di questa stablecoin privata made in USA, fortemente politicizzata, come erosione alla credibilità del dollaro stesso agli occhi dei mercati internazionali. Per la serie “Chi rappresenterebbe davvero il dollaro? La Fed o Trump?”

Trump ha alimentato per anni la retorica di una “America vera” contrapposta alle élite di Washington, Silicon Valley e Wall Street. USD1 potrebbe essere il mattone iniziale di un’economia parallela, pensata per sostenere un futuro ecosistema “post-istituzionale” in caso di fratture gravi negli USA: sociali, politiche, o addirittura costituzionali.

Se USD1 fosse ampiamente adottata, potrebbe mandare un segnale pericoloso sul fronte globale: la fedeltà al dollaro non è più così certa come una volta, e nemmeno la sua centralità nel sistema finanziario mondiale. Trump, in questo caso, sta giocando una partita geopolitica di lunga durata, in cui il dollaro potrebbe non essere l’unico asset legittimato a rimanere il fulcro dell’economia internazionale.

Sovranità digitale e isolazionismo economico della Russia 

In questa cornice, è legittimo e forse doveroso interrogarsi sulla direzione che sta prendendo invece la Russia, la quale adotta un approccio distintivo nel campo delle valute digitali, nettamente diverso da quello degli Stati Uniti e della Cina. Mentre queste due superpotenze esplorano le valute digitali principalmente come uno strumento per consolidare il loro potere economico globale e, in parte, per contrastare l’influenza di sistemi concorrenti, la Russia sta affrontando sfide uniche che orientano la sua visione verso obiettivi diversi.

Per il Cremlino, la sovranità digitale è una questione di vitale importanza, soprattutto in un contesto segnato da sanzioni internazionali e da un isolamento crescente sul piano geopolitico. 

Una stablecoin russa sarebbe inevitabilmente legata a riserve esterne, come il dollaro o altre valute di riserva, e questo potrebbe significare una continua vulnerabilità alle politiche monetarie e alle dinamiche di controllo globali. Inoltre, sebbene una valuta digitale possa sembrare un passo verso una maggiore indipendenza, la sua efficacia e la sua adozione su scala globale potrebbero essere ostacolate dalle infrastrutture finanziarie esistenti, che rimangono in gran parte sotto l’influenza di potenze economiche occidentali. Quindi, in un contesto già segnato da sanzioni e isolamento economico, la creazione di una stablecoin potrebbe sembrare un tentativo di affrancarsi dal sistema internazionale, ma finirebbe per rinforzare la dipendenza da risorse e meccanismi globali che la Russia sta cercando di sfidare. Questo paradosso evidenzia come la sovranità economica, anche nel mondo digitale, sia un terreno fragile e complesso da navigare.

La cripto-economy è questa qua?

La domanda che rimane senza risposta, e che suscita riflessioni profonde sul nostro futuro, è: siamo davvero pronti a vivere in un mondo in cui le valute digitali non si limitano a essere una semplice alternativa economica, ma diventano un potente strumento di sovranità geopolitica? Questo interrogativo non è nato oggi, ma risuona con crescente urgenza, perché, già quasi dieci anni fa, prevedevamo che le criptovalute avrebbero potuto evolversi in una forma di sola economia alternativa. 

Tuttavia, mentre le criptovalute come Bitcoin e Ethereum sono nate con l’intento di decentramento e autonomia, le stablecoin rappresentano una realtà diversa, anche se apparentemente simile. Una stablecoin, per sua natura, è ancorata a un asset fisico o a una valuta tradizionale, e proprio per questo può rivelarsi uno strumento di controllo molto più stretto rispetto alle criptovalute che, almeno inizialmente, si sono evolute come forme di moneta decentralizzata. Non dobbiamo dimenticare che una stablecoin non è una criptovaluta nel senso più stretto del termine. Si tratta di un asset digitale che, seppur possa basarsi su tecnologia Blockchain, non sfida necessariamente l’autorità centralizzata, anzi, in alcuni casi, può rafforzarla.

Purtroppo, le sfide che riguardano il futuro non sono mai veramente e/o definitivamente tecnologiche, bensì politiche ed economiche. Il futuro delle criptovalute e delle stablecoin sarà determinato da chi riuscirà a governarle e, soprattutto, da come le nazioni si prepareranno a giocare questa partita.