USA: una riserva strategica crypto finanziata con i dazi di Trump?

Pare che il gruppo di lavoro governativo stia valutando questa ipotesi, che però allo stato attuale è solamente un'idea.

Apr 16, 2025 - 09:20
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USA: una riserva strategica crypto finanziata con i dazi di Trump?
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Ieri, il direttore esecutivo del consiglio di consulenti per gli asset digitali di Donald Trump, Bo Hines, ha dichiarato di voler finanziare la creazione di una riserva strategica crypto con parte dei dazi incassati sulle importazioni.

Lo ha detto durante un’intervista rilasciata ad Anthony Pompliano intitolata non a caso “America Is Going ALL-IN On Bitcoin“.

L’intervista: ci sarà la riserva crypto finanziata dai dazi di Trump?

L’intervista di Pompliano a Hines è durata più di un’ora, ed ha riguardato diversi argomenti, dalla riserva strategica in Bitcoin alla visione di Trump sugli asset digitali, passando per la nuova normativa statunitense sulle stablecoin, l’implementazione della tecnologia blockchain all’interno dell’attuale sistema bancario e l’adozione istituzionale.

Uno degli argomenti trattati è stato proprio quello relativo ai dazi di Trump, in relazione soprattutto a Bitcoin ed all’oro.

La chiave per comprendere l’idea di Bo Hines è la strategia di accumulo di BTC da parte degli USA. Hines infatti sostiene che gli Stati Uniti dovrebbero accumulare quanti più Bitcoin possibile, un po’ come si fa con l’oro o con altri asset con valore intrinseco.

Tutto ciò rientrerebbe nel piano di Trump di rendere il Paese una superpotenza in ambito crypto, ed in quello che prevederebbe l’acquisizione di BTC con metodi a bilancio neutro, ovvero senza costi per i contribuenti.

I dazi di Trump possono davvero finanziare una riserva strategica crypto in USA?

A dire il vero i pagatori ultimi dei dazi di Trump sono proprio i consumatori statunitensi, quindi utilizzare gli incassi dei dazi per comprare Bitcoin significherebbe di fatto far pagare gli acquisti ai cittadini americani.

Tuttavia d’altro canto quei dazi, una volta applicati, generano comunque delle entrate, e quindi una volta incamerati quei fondi lo Stato potrebbe usarli come meglio crede.

Va però precisato che l’idea di utilizzare i proventi dei dazi per acquistare BTC viene considerata una soluzione creativa, come ad esempio quella di rivalutare i certificati aurei facendo riferimento al Bitcoin Act del 2025.

In altre parole, il gruppo di lavoro di Trump sugli asset digitali sta valutando diverse idee per finanziare l’acquisto di Bitcoin, e dato che per ora si sta limitando a valutarle, possono essere prese in considerazione tutte, anche quelle più strampalate.

Dato che i dazi USA alla fine li pagheranno i cittadini americani, utilizzare parte dei proventi per comprare BTC difficilmente potrebbe raccogliere molti consensi a livello popolare.

Gli altri punti

Hines durante l’intervista ha detto però molte altre cose ben più interessanti.

Ad esempio ha dichiarato che uno degli obiettivi dell’amministrazione Trump è quello di rimuovere gli ostacoli alle società di asset digitali che interagiscono con le istituzioni finanziarie tradizionali, e questo in effetti potrebbe davvero cambiare lo scenario negli USA.

Inoltre afferma che gli operatori esteri nel settore Web3 dovrebbero essere favoriti a portare la loro tecnologia negli Stati Uniti, sempre nell’ottica di diventare leader globali nel campo dell’innovazione tecnologica.

A tal proposito Hines fa notare quanto rapidamente stia già agendo questa amministrazione, tanto che le nuove normative sulle stablecoin sarebbero già in fase molto avanzata: l’obiettivo è quello di avere sia la legislazione sulle stablecoin che quella sulla struttura del mercato sulla scrivania del presidente Trump entro agosto.

Bitcoin come oro digitale

Hines ad un certo punto suggerisce ai cittadini americani di considerare Bitcoin come oro digitale.

La miglior chiave di lettura per capire il suo ragionamento è proprio questa.

In altri termini suggerisce una strategia di accumulo, un po’ come quella in atto ormai da mesi sull’oro.

Non va dimenticato che poco dopo la metà di dicembre è iniziata una lunga fase ancora in corso di aumento del prezzo dell’oro, dovuto ad un costante incremento della domanda.

D’altronde in tempi difficili si ricorre all’oro come bene rifugio di ultima istanza, soprattutto in un momento in cui dollaro e bond governativi statunitensi non sono in grado di offrire garanzie comparabili.

Quindi da un lato c’è una sorta di piccola fuga dal dollaro, e nelle ultime settimane anche dai Treasury, mentre dall’altro sono mesi che c’è una corsa all’oro.

L’idea di Hines è che si dovrebbe fare qualcosa di simile anche su Bitcoin, mentre invece i mercati la vedono diversamente. BTC infatti non può ancora essere considerato un asset risk-off come l’oro, non fosse altro per il fatto che l’oro è una merce fisica con un suo valore di mercato commerciale, mentre Bitcoin è solo una moneta digitale il cui valore è dato solamente dal rapporto domanda/offerta.

In altre parole, se per l’oro ci sarà sempre una domanda, in quanto bene fisico utilizzato da molti settori produttivi, per quanto riguarda BTC non si può affatto affermare la stessa cosa.

Tutto ciò porta a presumere che le dichiarazioni di Bo Hines siano primariamente di carattere propagandistico, più che di carattere tecnico o analitico.