Google dice addio al progetto Privacy Sandbox

Google chiude il progetto Privacy Sandbox, nato per eliminare i cookie di terze parti su Chrome. Decisione influenzata da critiche e regolatori.

Apr 23, 2025 - 11:30
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Google dice addio al progetto Privacy Sandbox

Dopo diversi anni di tentativi e controversie, Google ha deciso di abbandonare il progetto Privacy Sandbox.

Anthony Chavez, vicepresidente della compagnia, ha annunciato ufficialmente la fine di un’iniziativa che aveva l’obiettivo di cambiare il settore della pubblicità digitale, andando però a fallire nel suo intento. Lanciato nel 2020, il progetto puntava a eliminare gradualmente i cookie di terze parti dal browser Chrome, proponendo soluzioni alternative come l’API Topics, un sistema pensato per categorizzare gli interessi degli utenti basandosi sulla loro navigazione online. Tuttavia, questa API non verrà mai implementata nella forma originariamente prevista.

La decisione di accantonare il progetto è stata determinata da molteplici fattori. Da un lato, Google ha affrontato accuse di voler rafforzare il proprio monopolio nel mercato pubblicitario digitale, attirando l’attenzione della Competition and Markets Authority (CMA) britannica. Dall’altro, organizzazioni come l’Electronic Frontier Foundation (EFF) hanno criticato il progetto, sottolineando come continuasse a tracciare le attività online degli utenti per finalità commerciali. L’EFF ha persino invitato gli utenti a disattivare questa funzionalità, alimentando il dibattito sulla reale efficacia delle misure proposte per la tutela della privacy.

Tra polemiche, controversie e dubbi: Privacy Sandbox non è mai decollato

Un altro colpo significativo è arrivato dal Movement for an Open Web, che ha accusato il progetto di voler centralizzare il controllo sui dati degli utenti, ostacolando l’adozione di standard aperti. La situazione si è ulteriormente complicata dopo un pronunciamento di un giudice statunitense, che ha riconosciuto comportamenti anticoncorrenziali da parte di Google nel settore adtech. Questi eventi hanno reso insostenibile la posizione dell’azienda, costringendola a un dietrofront.

Esistono prospettive divergenti su come apportare modifiche che potrebbero influenzare la disponibilità dei cookie di terze parti”, ha ammesso Chavez in un comunicato, confermando che non verrà implementato un nuovo prompt specifico per la gestione di questi strumenti di tracciamento.

La dichiarazione ha trovato eco nelle parole di James Rosewell, co-fondatore del già citato Movement for an Open Web, che ha definito la decisione di Google una chiara ammissione di fallimento: “Hanno riconosciuto che gli ostacoli regolatori al loro progetto monopolistico sono insormontabili e hanno rinunciato”.

Questa scelta lascia il panorama della pubblicità digitale in una situazione di incertezza. Mentre browser come Firefox e Safari hanno già implementato il blocco dei cookie di terze parti, Chrome, che detiene la quota di mercato più ampia a livello globale, continuerà a supportarli.