Le Rose di Versailles – Lady Oscar Recensione: non v’è rosa senza spine

Non v’è rosa senza spine. Ma vi sono parecchie spine senza rose! Mi spiace scomodare Arthur Schopenhauer, ma il suo aforisma è perfetto per introdurvi Le rose di Versailles – Lady Oscar, il nuovo lungometraggio dedicato alla nota eroina, approdato nel catalogo Netflix lo scorso 30 aprile. Distribuito nei cinema giapponesi il 25 gennaio 2025 […] L'articolo Le Rose di Versailles – Lady Oscar Recensione: non v’è rosa senza spine proviene da Vgmag.it.

Mag 3, 2025 - 11:13
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Le Rose di Versailles – Lady Oscar Recensione: non v’è rosa senza spine
Le Rose di Versailles

Non v’è rosa senza spine. Ma vi sono parecchie spine senza rose! Mi spiace scomodare Arthur Schopenhauer, ma il suo aforisma è perfetto per introdurvi Le rose di Versailles – Lady Oscar, il nuovo lungometraggio dedicato alla nota eroina, approdato nel catalogo Netflix lo scorso 30 aprile. Distribuito nei cinema giapponesi il 25 gennaio 2025 da Toho Next e Avex Pictures, è il secondo adattamento animato tratto dal manga di Riyoko Ikeda, edito nel 1972. Il primo fu la nota serie televisiva Lady Oscar, in Italia rinominata negli anni ’90 con il titolo Una Spada per Lady Oscar, prodotta da Tokyo Movie Shinsha nel 1979, oggi disponibile sul canale Anime Generation di Amazon Prime Video. Annunciato nel 2022 per il 50º anniversario del manga, il film è realizzato dallo studio MAPPA, con Ai Yoshimura alla regia, Tomoko Konparu alla sceneggiatura e Mariko Oka al character design.

Nella Francia di fine ‘700, le vite di due giovani donne si intrecciano nei fasti e nei segreti della corte di Versailles. Oscar François de Jarjayes, educata dal padre come un uomo, si arruola giovanissima nella Guardia Reale con il compito di proteggere Maria Antonietta, principessa d’Austria e futura regina di Francia. Tra sfarzo, intrighi e passioni, le loro esistenze scorrono all’ombra di una rivoluzione imminente, destinata a cambiare per sempre le loro esistenze.

the rose of versailles
Oscar in alta uniforme.

Le Rose di Versailles – Lady Oscar: una rosa non sarà mai un lillà, ma…

Esteticamente sontuoso, ma intrinsecamente vuoto e magniloquente. Le Rose di Versailles – Lady Oscar è un film che non raggiunge il suo intento più cruciale: restituire la profondità e l’essenza dell’opera di Riyoko Ikeda. Il risultato è una trasposizione dall’immagine raffinata e sfavillante, pregna di lussuoso oro, bensì al contempo vacua e disarticolata, priva di quell’intensità emotiva e di quella complessità narrativa che hanno reso immortale la storia di Lady Oscar. Se da un lato la pellicola sembra offrire una maggiore fedeltà al manga, dall’altro questa apparente aderenza si rivela un mero artificio. Al fine di condensare le vicende nei limiti di tempo di un lungometraggio, l’impalcatura narrativa della pellicola tradisce, destrutturandola, l’intricata costruzione del racconto originario, ricco di sottotrame, svuotandolo della sua sostanza, nonché della ricercatezza del suo costrutto storico e politico. La storia subisce in tal modo pesanti tagli ed omissioni, eliminando passaggi chiave e snaturando momenti fondamentali, riducendosi ad una successione di sequenze cronologiche disgiunte che dovrebbero mostrare gli avvenimenti principali. Ne consegue che la narrazione, anziché apparire coesa, si svela disorganica ed incoerente, sacrificata in un formato inadatto. Ad appesantire la visione contribuisce la pervasiva colonna sonora, che raggiunge il suo apice nelle scene cantate, stralunato ibrido tra gli intermezzi intonati dai personaggi dei film Disney – ma con uno stile grafico tipico delle sigle degli anime – e il canonico musical. In queste talvolta il brano predomina persino sui dialoghi dei personaggi, oppure si rivela un fatuo montage, mostrando frammenti di eventi decontestualizzati, che perdono la loro funzione di raccordo risultando incomprensibili a chi non conosce le vicende esposte. Ne risente inevitabilmente la caratterizzazione dei protagonisti e dei comprimari, defraudati delle loro sfumature emotive, ridotti a figure stilizzate e frivole, scevre della forte identità psicologica che li contraddistingue. Un impoverimento che si riflette bieco nelle dinamiche relazionali, che risultano superficiali e prive di quella tensione e intensità che le hanno rese memorabili. Oltre ai tagli narrativi, alcune omissioni si avvicinano a forme di censura, non giustificabili neppure alla luce di una maggiore sensibilità contemporanea, poiché ciò che ne avrebbe garantito la legittimità non è la loro eliminazione, bensì una contestualizzazione adeguata e rispettosa. Tra le più evidenti si annoverano la mancata menzione della malattia di Oscar e la modifica di una delle scene più controverse del racconto, ovvero l’aggressione di André nei confronti di Oscar. Pur mantenendo l’impostazione del manga—ben diversa da quella adottata della serie anime (episodio n. 28 n.d.r.)—il film elimina un passaggio cruciale: quello in cui André droga il vino destinato a Oscar, presumibilmente con l’intento di abusarne. Questa rimozione cambia profondamente la percezione dell’intera sequenza, privandola della sua gravità e rendendola difficilmente interpretabile.

Il design tiene molto da conto i ghirighori tipici degli shojo, come gli sbriluccichii negli occhi.

Un tripudio rococò scintillante e sontuoso: così si presenta il film, la cui unica eccellenza risiede nella sua qualità audiovisiva. L’animazione 2D digitale si distingue per scenografie sublimi, traboccanti di dettagli opulenti e sofisticati, una magnificenza che si riflette anche negli abiti dei personaggi, cesellati con cura meticolosa. Il tratto grafico si configura come una sintesi, non eccelsa, tra l’inconfondibile stile di Riyoko Ikeda—conservando alcuni tratti distintivi degli shōjo anni ‘70, come il luccichio negli occhi—ed un’estetica moderna, che ammorbidisce i lineamenti e dona alle figure, in particolare a Lady Oscar, un’apparenza efebica. L’ambiguità identitaria e sessuale del personaggio rimane così incastonata esclusivamente nel suo aspetto androgino, enfatizzando una dualità più suggerita che esplorata. Le animazioni sono curate per garantire un certo realismo, tuttavia, in alcuni frangenti, scivola nel paradosso: il tentativo di naturalismo, anziché fluido, conferisce alle azioni una rigidità meccanica, farraginosa. Un limite, ad essere onesti, più tecnologico che propriamente difettoso. L’abbondante uso di simulazioni di movimenti di macchina rivela una regia audace, ma anch’essa mal calibrata. In più di un’occasione, infatti, la dinamicità eccessiva o la bruschezza di certe transizioni visive minano l’equilibrio estetico, generando un effetto sgradevole. Un involucro splendente e ammaliante, che tuttavia, nella sua impeccabile confezione, risulta privato della sua reale sostanza.

Sebbene Le Rose di Versailles – Lady Oscar sia un film dai molteplici difetti, non bisogna cadere nell’errore di paragonarlo al celebre anime del 1979 con l’intento di decretare un vincitore.  Un confronto diretto sarebbe sterile, poiché i due prodotti non competono tra loro e non possono essere valutati oggettivamente per due ragionevoli motivi. Il primo è che sono realizzati in formati differenti – lungometraggio e serie TV—ciascuno, conseguentemente, con un proprio ritmo narrativo e una distinta costruzione della tensione drammatica. Il secondo è dato dall’epoca di produzione; la nuova pellicola è frutto della sensibilità cinematografica contemporanea, mentre la vecchia serie riflette le tendenze dell’animazione giapponese degli anni ’70. In quanto opere derivate vanno considerate come interpretazioni parallele dello stesso materiale, ciascuna con il proprio linguaggio e la propria identità. Entrambe, peraltro, presentano delle criticità, a partire dalla fedeltà contenutistica al manga di Riyoko Ikeda. Non a caso, l’autrice stessa ha espresso riserve sul primo adattamento, ritenendo che le modifiche apportate non rispecchiassero appieno la sua visione originale. Sul nuovo film, invece, non ha ancora rilasciato dichiarazioni ufficiali. Questo, ovviamente, non esclude la possibilità di paragoni neutrali, finalizzati a delineare le differenze stilistiche, opportunamente contestualizzati. Nondimeno non cancella il diritto ad avere una propria e lecita opinione personale. Alla fine, ogni spettatore avrà la propria preferenza, ma si tratta di un parere primariamente soggettivo, legato, inscindibile, all’esperienza individuale. Per quanto mi riguarda, concedetemi tale licenza, preferisco decisamente la vecchia amata serie TV.


Un progetto ambizioso, visivamente sontuoso e stilisticamente sofisticato, ciò nonostante, Le Rose di Versailles – Lady Oscar fallisce nel suo intento più significativo: restituire l’essenza e la profondità contenutistica dell’opera di Riyoko Ikeda, nonché la complessità dei suoi personaggi iconici. Nel paradosso di una trasposizione più fedele al manga, il film finisce per offrire una narrazione mutilata, disarticolata e incoerente, legata da inserti musicali discutibili. Purtroppo delle rose che, nell’epoca delle tempeste più violente, hanno vissuto con fermezza seguendo sempre la loro volontà rimane solo la loro epidermica bellezza, scevra dell’intensità del loro profumo.


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