Il Messico contro Google per il nuovo nome del Golfo: nasce il “Golfo d’America”
Una disputa che parte dal nome Il recente cambio di denominazione del Golfo del Messico in Golfo d’America su Google... L'articolo Il Messico contro Google per il nuovo nome del Golfo: nasce il “Golfo d’America” proviene da Batista70.

Una disputa che parte dal nome
Il recente cambio di denominazione del Golfo del Messico in Golfo d’America su Google Maps ha scatenato un vero e proprio scontro diplomatico. Il cambio, richiesto dall’amministrazione Trump, si applica esclusivamente alla porzione statunitense della baia.
Google, rispondendo a un decreto presidenziale firmato da Donald Trump, ha aggiornato la nomenclatura nella sua mappa online, attivando il nuovo nome solo per gli utenti americani. Il decreto è stato giustificato con una motivazione controversa: secondo Trump, gli Stati Uniti “svolgono la maggior parte del lavoro nel Golfo” e quindi avrebbero il diritto di rinominarlo.
Claudia Sheinbaum, presidente del Messico, ha reagito con fermezza. In una dichiarazione ufficiale ha contestato la legittimità della modifica, sostenendo che la baia è condivisa tra più nazioni e che nessun Paese può rivendicarne il nome in modo unilaterale.
Il primo segnale di protesta risale a gennaio, quando Sheinbaum ha inviato una lettera a Google, esortandola a rivedere la decisione. Dopo un mese, il governo messicano ha annunciato l’intenzione di procedere legalmente. Questa settimana, la causa è stata ufficialmente avviata.
Le conseguenze sul piano internazionale
La decisione di Google non ha avuto ripercussioni solo tra Messico e Stati Uniti. Anche Cuba, terzo Paese affacciato sul Golfo, è stata coinvolta nella controversia. La piattaforma di Google mostra infatti il nome Golfo d’America solo agli utenti statunitensi, mantenendo il vecchio toponimo negli altri Paesi.
La questione ha assunto un tono ancora più grave quando l’Associated Press ha annunciato che non adotterà il nuovo nome. Questo ha portato a una vera crisi tra il colosso mediatico e la Casa Bianca. Per due mesi, i giornalisti dell’agenzia sono stati esclusi dalle conferenze stampa ufficiali, segnando un pericoloso precedente per la libertà di stampa.
Il conflitto geopolitico, inizialmente confinato a una piattaforma digitale, si è quindi ampliato a livello istituzionale e mediatico. Si tratta di una dimostrazione concreta di quanto i servizi online possano influenzare la percezione e la politica internazionale.
Trump e la provocazione sul Golfo Persico
L’ex presidente Donald Trump, fedele alla sua linea aggressiva e provocatoria, ha annunciato un’altra proposta: rinominare il Golfo Persico in Golfo Arabico. Questa dichiarazione ha causato l’immediata reazione del ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi, che ha definito le parole di Trump “voci assurde” e parte di una “campagna di disinformazione”.
La denominazione geografica del Golfo Persico è già motivo di tensione da anni, soprattutto tra Iran e alcuni Paesi arabi. L’uscita di Trump rischia quindi di aggravare ulteriormente un contesto già instabile. Araqchi ha dichiarato che tale iniziativa avrebbe provocato “l’ira di tutti gli iraniani” e ha invitato gli attori internazionali a non seguire simili provocazioni.
Anche in questo caso, la questione semantica si trasforma in una miccia diplomatica. Cambiare il nome di un luogo geografico non è mai un gesto neutrale: riflette identità, potere e storia.
Le mappe digitali sono territorio di scontro geopolitico?
L’intera vicenda dimostra come Google Maps, una piattaforma apparentemente neutra, sia diventata uno strumento geopolitico. Cambiare un toponimo significa influenzare la narrazione di uno spazio condiviso.
Il problema non è solo tecnico ma culturale e politico. L’utilizzo di nomi diversi nei vari Paesi riflette tensioni che vanno ben oltre il digitale. La tecnologia, oggi, non può più considerarsi neutrale: ogni scelta, anche grafica o lessicale, può avere conseguenze enormi.
È legittimo che Google assecondi decisioni politiche nazionali, anche controverse? Oppure dovrebbe mantenere una posizione super partes? La risposta non è semplice, ma sempre più necessaria.
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